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EVENTI  Aprile

13 - Domenica delle Palme
- benedizione delle palme alle 10.30 chiesa S. Antonio
- a seguire, processione verso la Chiesa Madre; all'arrivo, S. Messa
14/15/16 - Confessioni dalle ore 16.00 nella chiesa di S. Rocco
17 - Giovedì Santo
- Messa in Coena Domini ore 18.30 Chiesa Madre
- al termine, esposizione di Gesù Eucaristia tra i germogli di grano e
  adorazione sino alla mezzanotte
- dalle 22 alle 23 ora di adorazione guidata
18 - Venerdì Santo
- La Chiesa Madre apre alle ore 08.00
- Adorazione Eucaristica individuale
- alle 17.30 celebrazione della Passione del Signore; al termine,
  sacra rappresentazione della Via Crucis nel centro storico
19 - Sabato Santo
       inizio della veglia alle ore 23.00 in Chiesa Madre
20 - Pasqua di Resurrezione
       SS. Messe come la Domenica
Cresime : 23 Maggio
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 Articoli 

“Alle 7:35 di questa mattina il Vescovo di Roma, Francesco, è tornato alla casa del Padre”

 

In questi momenti radio, televisioni, giornali, i vari social media, alti prelati, scrittori, attori, politici, tutti insomma parlano della morte del Papa e ce ne ricordano la figura; anche noi vogliamo aggiungere qualche nostra considerazione.

 

Già al momento della sua elezione, quando ha scelto il nome Francesco, abbiamo avuto un indizio di come sarebbe stato il suo pontificato.  Un nome che era tutto un programma: quello di un Santo noto come “il poverello di Assisi” a causa della sua scelta di condurre una vita minimale, spoglia di tutto ciò che non fosse assolutamente necessario.

E ha cominciato subito, presumibilmente provocando i primi scossoni in Vaticano: ha scelto una dimora sicuramente più modesta rispetto agli appartamenti vaticani, non ha voluto andare in giro accomodandosi sul divano posteriore di una berlina di lusso ma seduto accanto al conducente di una 500L; ha continuato a raccomandare a tutti -e principalmente al clero- di usare il denaro soprattutto a scopi benefici e non per se stessi e così via, sino a scrivere nel testamento di volere essere sepolto nella nuda terra in una semplice bara di legno priva di orpelli, dopo una cerimonia funebre senza sfarzo alcuno, e non in San Pietro ma in Santa Maria Maggiore.

 

Anche il suo approccio verso la gente era molto minimalista: quando un Papa, affacciandosi su piazza S. Pietro, si mostra contento ma anche quasi sorpreso vedendo tanti ombrelli aperti e dice “grazie per essere qui anche con questo tempaccio” e conclude il discorso domenicale con un “buon appetito”, cosa potrebbe dire di più terreno?

E quanto non è umano minacciare di dare un pugno sul naso a chi offendesse sua madre? (parole che hanno fatto arricciare il naso a qualche odierno fariseo cui faceva comodo ricordare il “porgi l’altra guancia”…)

Quando passava per il sagrato di San Pietro sulla papamobile, tra due ali di folla plaudente, si percepiva che ne era “obbligato” per questioni di sicurezza e di tempo: egli avrebbe volentieri camminato in mezzo alla folla di fedeli dispensando strette di mano, abbracci, baci ai bambini e benedizioni a tutti.

Insomma, Francesco è entrato nel cuore di tutti soprattutto perché abbiamo avvertito dentro di noi che il suo modo di fare così alla mano, paterno, non era un atteggiamento ma vera espressione del suo essere, e che le tantissime volte che ha invitato umili e potenti ad amare il prossimo, tanto più quanto più è povero e sventurato, non stava “predicando bene”, ma voleva trasmettere quello che lui sentiva per primo. Ricordiamoci che iniziò il suo pontificato con lo stesso gesto con cui lo ha terminato: una visita ai carcerati.

Tra le varie voci colte nelle interviste alla gente comune, qualcuno diceva “Sembrava una persona con la quale si poteva dialogare come col proprio vicino di casa”, oppure “Per me era una persona piena di misericordia ed amore per tutte le persone, non importa quanto povere o da quale paese provenissero: lui amava tutti”.

Rammentiamo anche la sua apertura al dialogo interreligioso e l’attenzione riservata a quanti vengono scartati dalle società basate sul consumismo e sul materialismo, o le sue raccomandazioni per il rispetto del creato quando esortava a ridurre le emissioni nocive e ad incrementare il ricorso alle fonti naturali di energia pulita; e naturalmente anche le continue esortazioni (purtroppo inascoltate) per la cessazione dei tanti, troppi conflitti armati che affliggono degli innocenti in molte parti del mondo.

 

Papa Francesco ha preso le difese dei migranti come segno della fede, perché il Cristianesimo è nato da Abramo, il migrante per eccellenza, a costo di provocare forse qualche destabilizzazione anche all’interno delle gerarchie della Chiesa; ma lui era fatto così: ha guidato la barca di Pietro nei mari agitati, a volte controcorrente.

Il rappresentante di una ONG ha raccontato che una volta Francesco, indicando un dipinto raffigurante una mano che si tende verso un’altra che affiora dall’acqua, gli disse: “Vedi? Io quello lo guardo ogni mattina per ricordarmi che cosa dobbiamo fare”.

 

Anche nei casi più spinosi si è fatto guidare dall’insegnamento divino: “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?”

Chi sono io ! E lo stava dicendo il rappresentante di Cristo sulla terra !

Era suo fermo convincimento che “La Chiesa non chiude la porta ma la spalanca a tutti”; e anche sui divorziati e risposati ebbe a dire “Sono battezzati, sono fratelli e sorelle; lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti; la loro presenza nella Chiesa testimonia la volontà di perseverare nella fede, malgrado le ferite di esperienze dolorose”.

E insisteva: “Non dimenticare questa parola: tutti, tutti, tutti” cioè a “tutti coloro che faticano nel cammino di fede, perché tutti hanno bisogno di un’attenzione pastorale misericordiosa e incoraggiante. L’ha detto Gesù in una parabola: quando non vengono gli invitati a nozze, il padrone dice ai servi: “Andate per le strade e portate tutti” – “Signore, tutti i buoni, vero?” – “No, tutti, buoni e cattivi, tutti”. Non dimenticate quel “tutti”, che è un po’ la vocazione della Chiesa, che è madre di tutti”.

Tutto ciò fa capire perché Francesco fosse amato anche da parecchi non credenti.

 

Sicuramente indimenticabile la sua immagine in una piazza San Pietro completamente deserta, stranamente silenziosa e bagnata dalla pioggia quel Venerdì di Quaresima, quando stava in preghiera per implorare da Dio la fine della pandemia da Covid: “Signore, ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Perciò non lasciarci in balia della tempesta. Ripeti ancora: ‘Voi non abbiate paura. E noi, insieme a Pietro, gettiamo in Te ogni preoccupazione, perché Tu hai cura di noi’

 

Sarà una coincidenza fortuita dettata dal caso, ma Francesco ha fermamente voluto fare un ultimo giro della piazza la domenica di Pasqua, appena prima di lasciare questa terra. Bene, nel Vangelo si dice che “Gesù amò i discepoli fino alla fine”: e lui ha voluto stare tra la sua gente fino alla fine.

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PASQUA  2025

 

VENERDI’ SANTO

 

Il venerdì santo si commemora la morte di Gesù come aveva predetto il profeta Isaia: “Egli si è caricato delle nostre sofferenze. Maltrattato, si lascia umiliare e non apre bocca; è come un agnello”.

La liturgia riprende da dove l’avevamo lasciata il giovedì Santo, prima dell’adorazione Eucaristica. Nel corso del rito non si celebra l’eucarestia perché è un momento di grande sofferenza e mestizia per la Chiesa: in questo giorno si rivivono i momenti in cui il Figlio di Dio, tradito da Giuda, viene ingiustamente arrestato, rinnegato da Pietro, condannato dalla folla, maltrattato, coronato di spine e schernito, per poi essere caricato di una croce sulle spalle, aiutato da tale Simone da Cirene e, giunto sul monte Calvario, crocifisso tra due malfattori.

Ai piedi della croce c’erano Maria sua madre, Giovanni, le donne e alcuni discepoli che lo videro morire senza poter fare nulla; infine il suo corpo fu tolto dalla croce e riposto nel sepolcro da un suo discepolo, Giuseppe d’Arimatea.

Il venerdì santo ascoltiamo il racconto di questi dolorosi avvenimenti e custodiamo nel nostro cuore le sofferenze sopportate da Cristo per amore dell’umanità, prendendo coscienza di quante afflizioni dovette patire Gesù per i peccati degli uomini.  La celebrazione termina con l’adorazione della croce. Il momento più doloroso di tutto il Triduo pasquale è l’ascolto del racconto della morte di Gesù, che affronta con dignità e coraggio ogni terribile momento, ogni umiliazione e ogni sofferenza che gli viene inflitta, affidandosi totalmente a Dio.

Gesù ha detto: “Chi vuole essere mio discepolo, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”.  Il Signore ci chiede di avere coraggio. La vita non è sempre semplice, a volte riserva delle sfide non facili da superare, dei giorni faticosi da affrontare, ma il Signore è con noi, ci tiene per mano. E’ bellissimo leggere nel Vangelo “Coraggio, sono io, non temete!”: è ancora Gesù a dirlo ai suoi discepoli spaventati, quando li sorprende camminando sulle acque. Lui ci stupisce, ma ci rincuora, ci conforta e ci dimostra, con il suo calvario, che si possono affrontare e superare la fatica e il dolore. Mentre Gesù porta la croce e viene crocifisso c’è Maria con lui, nella sofferenza e nella difficoltà, e allo stesso modo è accanto a noi e ci conforta nei momenti di afflizione.

 

Il bacio della croce

 

Il venerdì santo compiamo un gesto molto suggestivo e di grande intensità. Si tratta di un gesto di venerazione nei confronti di Gesù morto e di adorazione nei confronti di Dio che, con il sacrificio del Figlio, ha dimostrato un amore infinito verso l’umanità.

A causa del peccato ci allontaniamo da Dio, ma Gesù, morendo sulla croce, cancella ogni nostra colpa: con la crocifissione di Cristo il mondo si riappacifica con Dio. Baciando la croce ricordiamo le sofferenze del Figlio di Dio, le prove e le difficoltà che ha dovuto affrontare, riconosciamo il suo coraggio e ci armiamo anche noi di pazienza e forza per affrontare i nostri problemi e superarli con dignità.

Quando adoriamo la croce è come se anche noi fossimo ai piedi del Golgota; con gli occhi e il cuore rivolti a Gesù crocifisso con le braccia aperte, pronto ad abbracciarci e a perdonarci. Prima di morire dirà “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Davanti alla sua croce e a queste parole ci sentiamo piccoli e fragili e, nello stesso tempo, sentiamo che Dio è grande, perché non smette mai di stupirci e ci ama di un amore incommensurabile. Quel crocifisso che adoriamo il venerdì santo è dono e sacrificio insieme: con esso, infatti, Dio dona suo Figlio al mondo, cioè sacrifica la sua vita per il bene dell’umanità.

 

Via Crucis vivente

 

Conclusa la liturgia, come ormai da decenni la nostra comunità fa rivivere gli ultimi dolorosissimi momenti della vita di Gesù per le strade del centro storico. Adulti, giovani, ragazzi rappresentano le stazioni della Via Crucis partendo dall’orto degli ulivi fino alla crocifissione e deposizione dalla croce.

Momenti suggestivi, che toccano il cuore. La folla dei fedeli è silenziosa, attenta, segue le varie stazioni e prega insieme al parroco. Ogni stazione è preceduta dall’invocazione; “Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo, perché con la tua Santa Croce hai redento il mondo”.

Arrivati al Calvario, la parte più alta del paese nei pressi della chiesa di S. Donato, i figuranti vengono spogliati ed ecco il momento più emozionante: la crocifissione. Cristo poco prima di morire chiede dell’acqua; gli danno da bere con una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna. “Tutto è compiuto” dice, ed esala l’ultimo respiro. Un soldato lo colpisce con la lancia al costato e ne escono sangue ed acqua, segno che Cristo si era totalmente offerto al mondo; si fa buio e si squarciano i cieli.

Il suo corpo, tolto dalla croce, viene affidato a Maria che lo stringe a sé per un ultimo straziante addio prima di riporlo nel sepolcro. Maria ha accompagnato Gesù per tutta la vita fino alla morte; allo stesso modo, la nostra Madre celeste ci accompagna nel corso della nostra vita.

E tutti insieme portiamo l’effige di Gesù morto verso la Chiesa Madre, con i ragazzi del catechismo che fanno corona portando delle fiaccole.

I ricordi affollano la mente, si ritorna bambini, ci si ricorda quando, in un cappellone in fondo alla chiesa, dietro una pesante tenda nera era custodita questa statua del Cristo morto ai piedi dell’Addolorata. Era buio dietro quella tenda, c’era solo una piccola lampadina che creava delle ombre…eppure la curiosità superava la paura, tanto da farci fare capolino dietro la pesante tenda per vedere quella scena di dolore e di amore allo stesso tempo. Gesù e Maria addolorata …. La Madonnina triste, come l’ha definita una bambina di tre anni.

Maria seguì il figlio fino al Calvario e rimase sotto la croce, mentre si avverava la profezia del vecchio Simeone alla presentazione di Gesù al Tempio: “e anche a te una spada trafiggerà l’anima”. Ed è proprio ciò che accadde: il cuore di Maria fu trafitto, addolorato dalla morte di Gesù. Maria piange sotto la croce, e suo figlio, con le braccia aperte verso il cielo, morente, si preoccupa per lei e dice: “Donna, ecco tuo figlio!” e poi, rivolgendosi al discepolo Giovanni, aggiunge: “Ecco tua madre!”.

Con queste parole Gesù esprime la sua volontà: desidera che Giovanni si prenda cura di Maria proprio come farebbe un figlio e che Maria si prenda cura di Giovanni, come una madre. Per la Chiesa questo discepolo rappresenta in realtà tutti noi: GESU’ CI AFFIDA A MARIA.

Sabato santo

 

Il sabato santo che precede la Pasqua è un giorno privo di celebrazioni, in cui la Chiesa rivive la sepoltura di Gesù. In questo giorno, come recita il Credo, Gesù discese agli inferi per portare in cielo chi aveva sperato in lui pur non avendolo conosciuto. E’ il giorno del silenzio e della meditazione. Possiamo solo immaginare lo sconcerto degli amici di Gesù nel vedere senza vita il Figlio di Dio, dopo averlo seguito e ascoltato per anni: Colui che aveva donato la vista ai ciechi, che aveva moltiplicato i pani e i pesci e che aveva risuscitato i morti veniva riposto in un sepolcro. Essi si saranno sentiti confusi e saranno rimasti senza parole, in silenzio.

La Chiesa ci chiede di fare lo stesso: ci invita a meditare nel nostro cuore tutto ciò che abbiamo ascoltato, letto e provato nei giorni precedenti; ci chiede di fermarci e di fare silenzio. Questo giorno è stato definito anche grande sabato o il giorno più lungo, perché segna il passaggio tra la morte e la vita, tra la crocifissione e la resurrezione, tra il dolore e la gioia. Possiamo approfittare di questo momento per riflettere su come sarebbe la nostra vita senza Gesù: sicuramente sarebbe triste, malinconica, buia come un giorno senza sole.

 

Veglia pasquale

Passato il sabato, il Vangelo narra che le donne recatesi al sepolcro portando oli aromatici per imbalsamare il corpo di Gesù videro che il masso all’entrata era stato fatto rotolare via: Cristo era resuscitato.

La Veglia Pasquale, che viene solitamente celebrata il sabato poco prima della mezzanotte, riassume l’antica storia della salvezza e celebra la risurrezione del Signore. Essa è chiamata anche Notte di grazia ed è un momento di ascolto e di preghiera durante il quale l’umanità dimostra tutta la sua gratitudine nei confronti del Signore ed esprime grande gioia dinanzi al sepolcro vuoto.

La veglia inizia a luci spente e prosegue con la benedizione del fuoco, o Lucernario. Gesù, infatti, è la luce che irradia gli uomini; egli è il risorto che, dal buio delle tenebre e dall’oscurità del male, è passato a nuova vita liberando il mondo dai peccati. Al fuoco il sacerdote accende il cero, segno di Cristo luce del mondo, e annuncia la sua resurrezione. Incisa nel cero pasquale c’è una croce con le lettere Alfa in alto e Omega in basso; entro i bracci della croce ci sono le quattro cifre dell’anno corrente. Nel fuoco nuovo i bambini bruciano dei fiorellini di carta, simboli dei fioretti che si sono impegnati a realizzare in questo tempo quaresimale.

Poi si passa alla liturgia della Parola che narra la creazione del mondo, l’antica alleanza tra Dio e l’uomo, la Pasqua ebraica e la scoperta da parte delle donne del sepolcro vuoto. Quindi ha luogo la liturgia battesimale con la benedizione dell’acqua e la celebrazione di eventuali battesimi.

In questo giorno di gioia, la Chiesa ci invita a lodare Dio per aver donato suo Figlio all’umanità.

SANTA PASQUA

 

Nella Pasqua ebraica, che Gesù celebra con gli apostoli durante l’ultima cena, si mangia l’agnello per festeggiare la liberazione degli ebrei dalla schiavitù d’Egitto. Nella Pasqua cristiana l’agnello sacrificale è Gesù, che dopo la morte risorge: “Ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”.

Il tempo di Pasqua inizia con la veglia pasquale e termina cinquanta giorni dopo con la veglia di Pentecoste, con la quale si commemora la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli e su Maria.

La domenica di Pasqua si proclama il Vangelo che narra la risurrezione di Cristo; il meraviglioso avvenimento che rafforza la fiducia che come gli apostoli noi tutti abbiamo in lui. Il colore liturgico del tempo pasquale è il bianco, ma la domenica di Pentecoste viene usato il rosso.

I primi otto giorni del tempo pasquale costituiscono l’ottava di Pasqua e si celebrano come solennità del Signore. Quaranta giorni dopo la Pasqua si commemora l’ascensione del Signore, cioè il momento in cui Gesù ascende al cielo.

Rivivendo questo mistero pasquale della morte e resurrezione di Gesù da cui nasce la nostra fede, la Chiesa ci incoraggia a vivere secondo la volontà di Dio e gli insegnamenti di Gesù, cioè praticando la carità e la misericordia, amando il prossimo e Dio come noi stessi.

Dal messaggio “URBI ET ORBI” di Papa Francesco del 20 aprile 2025:

“Cari fratelli e sorelle, nella pasqua del Signore, la morte e la vita si sono affrontate in un prodigioso duello, ma il Signore ora vive per sempre e ci infonde la certezza che anche noi siamo chiamati a partecipare alla vita che non conosce tramonto, in cui non si udranno più fragori di armi ed echi di morte.

Affidiamoci a Lui che solo può far nuove tutte le cose. Buona pasqua a tutti!”

 

Le catechiste

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LA SETTIMANA SANTA

“E’ la settimana più celebrativa dell’anno liturgico; rievoca la passione, la morte, la sepoltura e la risurrezione del Signore Gesù.  Sono giorni di preghiera, silenzio e meditazione in cui la comunità cristiana rivive il sacrificio di Cristo per l’umanità.”

 

La settimana santa è un particolare periodo dell’anno liturgico durante il quale possiamo restare accanto a Gesù per rivivere insieme i giorni più difficili della sua vita sula Terra.

Inizia con la Domenica delle Palme e termina con la Veglia Pasquale ed è ricca di celebrazioni.

In quei giorni la Chiesa riflette sull’amore di Dio per il mondo, un amore così grande da condurlo a sacrificare suo Figlio per salvarci dal peccato e dalla morte.  In questa settimana siamo chiamati a raccoglierci frequentemente in chiesa per ascoltare la Parola di Dio che narra i momenti della salvezza, pregare con riconoscenza il Signore per celebrare l’Eucarestia, che è il sacramento in cui ritroviamo il pane e il vino, cioè il corpo e il sangue di Gesù, offerti per il perdono dei peccati.

Il primo evento che viene ricordato è quello dell’entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme: la Domenica delle Palme, nella quale celebriamo la gioia per l’arrivo di Gesù nella città santa, sette giorni prima della Pasqua del Signore.

Nelle Sacre Scritture è raccontato che il Figlio di Dio giunge a Gerusalemme cavalcando un puledro d’asina, un animale mite, pacifico, mentre le folle lo accolgono sventolando rami di ulivo e di palma e gridando: “osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene nel nome del Padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli”.

Questo evento è detto MESSIANICO perché le folle lo riconoscono come il MESSIA, lo accolgono con entusiasmo. Tuttavia, quella stessa gente che lo applaude con entusiasmo, poi lo condannerà a morte.

Il sacerdote legge il Vangelo che narra questo episodio, che viene commemorato solitamente con una breve processione in cui i fedeli portano rami di ulivo e di palma ed elevano canti festosi.

Successivamente vengono benedetti gli ulivi e le palme che ognuno porterà nelle proprie case dopo la celebrazione della messa in cui si proclama il Vangelo della passione di Gesù. All’interno degli edifici sacri e sugli altari vengono riposti vasi pieni di ramoscelli d’ulivo, segno di pace ma anche di speranza, e palme, simbolo di vita eterna e di risurrezione.

Il colore liturgico di questa domenica è il rosso, proprio come i mantelli stesi a terra  dalla folla all’incedere di Gesù, ma soprattutto rosso come il sangue versato da Gesù per amore dell’umanità.

Il suo ingresso in città è anche un momento di speranza, perché una nuova alleanza tra Dio e gli uomini sta per compiersi.

Ogni giorno possiamo accogliere Gesù con gioia e speranza nella preghiera, nella messa, nella lettura delle Sacre Scritture, ogni giorno possiamo praticare la GENEROSITA’ E LA CARITA’.

OGNI GIORNO IL NOSTRO CUORE PUO’ DIVENTARE UNA PICCOLA GERUSALEMME CHE ACCOGLIE GESU’ CON FIDUCIA.

 

GIOVEDI’ SANTO

La mattina del Giovedì santo nelle cattedrali si celebra la messa crismale, o del crisma, presieduta dal vescovo, e durante la quale i sacerdoti rinnovano gli impegni della loro ordinazione.

Nel corso della celebrazione vengono benedetti gli oli santi:

- l’olio dei catecumeni, usato nel battesimo;

- il crisma, usato nella cresima, nell’ordinazione sacerdotale ed episcopale

- l’olio degli infermi

Il giovedì santo termina la quaresima ed inizia il TRIDUO DELLA PASSIONE, DELLA MORTE E RESURREZIONE DEL SIGNORE, detto più semplicemente TRIDUO PASQUALE.

Durante la messa vespertina, la Chiesa ricorda l’ultima cena e l’istituzione dell’eucarestia: si chiama MESSA IN COENA DOMINI o messa nella Cena del Signore.  Il sacerdote legge il Vangelo che narra l’ultima cena, cioè l’ultima pasqua degli ebrei festeggiata da Gesù con i suoi amici a Gerusalemme.

Quella sera istituì il sacramento dell’Eucarestia, disse a Pietro che l’avrebbe rinnegato e a Giuda che lo avrebbe tradito, poi nello stupore di tutti prese un catino con l’acqua, si cinse i fianchi con un asciugatoio e lavò i piedi i suoi apostoli.

Allo stesso modo, in ogni chiesa, il sacerdote lava i piedi a dodici persone che siedono intorno alla mensa; nella nostra comunità il sacerdote lava i piedi a 12 ragazzi che riceveranno a breve il Sacramento della Confermazione. Alla fine della liturgia, grazie al comitato festa di Maggio, anche da noi è stato distribuito il pane benedetto, simbolo del pane condiviso da Gesù con gli apostoli e simbolo del corpo di Gesù.

Il rito della lavanda dei piedi è ricco di significati: con esso Gesù insegna l’umiltà e il servizio e dimostra il suo amore immenso per l’umanità. Così come il Figlio di Dio si è messo al servizio del Padre e dell’umanità, anche gli apostoli saranno chiamati a servire Dio e il mondo, diffondendo il Vangelo.

Ma anche noi tutti siamo esortati ad aiutare il prossimo e a renderci disponibili verso i nostri fratelli. 

La lavanda dei piedi anticipa un gesto più grande: il dono della vita di Cristo per la salvezza del mondo.

Altro elemento importante, Gesù sa cosa faranno Pietro, Giuda e gli altri apostoli; ma li perdona.

Il perdono è un insegnamento prezioso per tutti: Lui ci dimostra che è possibile perdonare. Donare qualcosa o donarsi è un atto di amore e Gesù è venuto sulla terra proprio per insegnare a tutti noi che  IL COMANDAMENTO PIU’ GRANDE E’ QUELLO DELL’AMORE!

 

L’ALTARE DELLA  REPOSIZIONE

 

Il Giovedì Santo, al termine della comunione, Gesù, realmente presente nell’ostia consacrata, non viene riposto nel tabernacolo, ma viene portato in processione su un altare preparato precedentemente e decorato con fiori bianchi e semi di grano fatti germogliare al buio, che simboleggiano il passaggio dalle tenebre della morte alla risurrezione, il pane e l’agnello, che rappresentano GESU’ SACRIFICATORSI PER IL PERDONO DEI NOSTRI PECCATI. 

Il mercoledì i bambini del catechismo portano in chiesa i piccoli germogli che sono stati curati e fatti crescere nei vari gruppi. Piccole piantine che crescono con amore come i nostri bambini e che fanno da corona a Gesù lungo il viale dell’altare della reposizione. “lasciate che i bambini vengono a me, non glielo impedite…”

Questo altare viene chiamato altare della reposizione perché su di esso riposa, ovvero è esposta, l’eucarestia, cioè il corpo di Cristo.

La sera del Giovedì Santo le chiese restano aperte fino a notte inoltrata per dare la possibilità ai fedeli di visitare gli altari della reposizione e di pregare davanti a Cristo che è veramente presente nell’eucarestia.

Normalmente, dinanzi a questi altari, ci si inginocchia e si pronuncia una preghiera di lode e ringraziamento: 

“sia lodato e ringraziato ogni momento il Santissimo e Divinissimo Sacramento”,  poi si recita per tre volte il Gloria, la preghiera con la quale si professa la fede nella Santissima Trinità, cioè Dio, Gesù, Spirito Santo. Dalle 22 fino alle 24 ci si  ritrova in chiesa per l’adorazione guidata dal  parroco.

le catechiste

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Ieri…nella lotta all’analfabetismo…

oggi vittime dell’analfabetismo informatico

C’era una volta il Bibliobus. A partire dal 1949 il Ministero della Pubblica Istruzione in collaborazione con i Provveditorati agli Studi iniziò una campagna per la lotta all’analfabetismo partendo dapprima dalla provincia di Salerno, la più estesa di tutto il territorio nazionale, assieme a quella di Potenza, comprendendo nei primi anni anche la provincia di Matera. Poco dopo la campagna venne estesa alle altre regioni italiane.

In pratica vennero allestiti, con un progetto ben studiato, due autobus in modo da trasformarli all’interno in perfette biblioteche viaggianti, onde il nome di bibliobus, corredati di appositi sussidi didattici ed audiovisivi di tutto rispetto, tenendo conto che eravamo agli inizi degli anni cinquanta e da poco usciti dalla seconda guerra mondiale con un territorio abbastanza disastrato.

Il bibliobus con i suoi sporti variabili permetteva, sia dall’esterno che dal suo interno, un’ottima esposizione di libri di vario genere nelle piazze dei paesi visitati, suscitando nella popolazione d’ogni età dagli scolaretti delle elementari agli anziani, vasto interesse e partecipazione agli eventi, diremmo noi oggi, che la sosta del bibliobus comportava. Inoltre il corredo di libri che la biblioteca itinerante si portava al seguito, tenendo conto dello scopo di combattere l’analfabetismo, presentava una selezione di testi di una validità assoluta in particolare per la veste editoriale con cui venivano trattate materie attinenti alla formazione professionale e didattica però alla portata di tutti. Case editrici di primissimo piano in tali ambiti: Hoepli, Edagricole, Lavagnolo, Ramo editoriale degli agricoltori Roma, tanto per citarne alcuni. Veniva stimolato così non solo l’interesse immediato ma sollecitata la comprensione della necessità di saper leggere, scrivere e far di conto, anche se quest’ultima non certo era deficitaria nelle persone dotate di buon senso ed anche esperienza del quotidiano. I testi di natura tecnico professionale riccamente figurati suscitavano la curiosità del potenziale lettore, che benché non sapesse né leggere e scrivere, stimolando le sue connessioni logiche e razionali, lo portava a sfogliare il libro, che diventava così nelle sue mani uno strumento di lavoro, un utensile appunto.

Che cosa accade invece oggi? Si naviga sui motori di ricerca (si dice comunemente così, ma questo non vuol dire nel modo più assoluto ricerca), ci si serve delle famigerate app, si seguono percorsi mediatici a dir poco demenziali, pilotati quasi inconsciamente da sedicenti influencer che si beano di sollecitare la curiosità dell’internauta ma non di certo nel senso che Plutarco le assegnava come stimolo alla conoscenza, rivelandosi al più perfetti maestri di stupidità nel suo significato lessicale più esatto!

E’ senza ombra di dubbio da preferire l’iniziativa del maestro Antonio La Cava, che col suo bibliomotocarro itinerante sollecita la curiosità dei bambini a maneggiare libri e che ben ricorda le visite del bibliobus quand’era ancora ragazzo nel suo paesino! L’analfabetismo informatico dilagante impone per essere arginato il prima possibile, di non servirsi in modo passivo dei mezzi di comunicazione mediatici ma usarli in maniera efficace. Ne va di mezzo la stessa democrazia che mai come oggi tra pandemie e guerre, il potere economico per mantenerla sotto il suo controllo ha profondamente stravolto! E’ d’obbligo l’upgrade e tanto basta!

Michele Vista

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Martedì 14 gennaio si è tenuto nella Chiesa di Sant’Antonio a Pignola un interessante incontro di formazione dal titolo: Fede e Superstizione. Il tema è stato trattato con semplicità, chiarezza e competenza da don Rocco Moscarelli, penitenziere della Diocesi che ha dialogato con Francesca Conte, responsabile parrocchiale del settore adulti di Azione Cattolica. L’incontro si inserisce in un percorso di formazione promosso dal gruppo adulti di Azione Cattolica nel quale, seguendo le linee guida della catechesi associativa, si stanno affrontando temi importanti quali il rapporto tra scienza e fede, fede e tradizione, fede e comunicazione.

L’ultimo affrontato ossia fede e superstizione è stato tra i più significativi anche perché trattato durante la novena in procinto della festa di Sant’Antonio Abate, il Santo che ha fatto della sua fede uno scudo contro ogni forma di tentazione. D’altro canto, il percorso di catechesi che l’A.C. promuove quest’anno ci invita a porre al centro del nostro cammino di formazione la misericordia, invitandoci a fare del vangelo di Luca il nostro compagno di viaggio. Inoltre, l’icona biblica che fa da sfondo al cammino di catechesi di tutti i settori ci invita contemporaneamente a “Prendere il largo” ossia ad essere testimoni della nostra fede allargando gli orizzonti nel rispondere, come Pietro e gli apostoli, alla chiamata di Cristo, a salire sulla barca che è la Chiesa, a solcare il mare che è il mondo, a diventare pescatori di uomini e quindi ad evangelizzare.

È dunque questo l’invito che ogni associato intende interiorizzare con questi incontri di formazione, quello di farsi illuminare dalla Parola e intraprendere, insieme, un cammino di corresponsabilità nella formazione. Per questo il contributo di don Rocco Moscarelli è stato prezioso e significativo perché per il suo ruolo e il suo particolare carisma ci ha fornito utili indicazioni per aiutarci a superare tutti gli ostacoli che potrebbero ostacolare il nostro cammino di crescita nella fede. Uno di essi potrebbe proprio essere una distorta percezione delle fede spesso confusa con la superstizione. A far bene intendere la differenza c’è la frase del nostro sommo poeta Dante che nel sostenere davanti a Pietro l’esame sulla propria fede la definisce usando la seguente espressione “La fede è sostanza delle cose sperate e argomento delle non parventi.” (Paradiso XXIV, 64). Quindi, se da un lato la fede «è il fondamento sostanziale delle nostre speranze», dall’altro è «la premessa concettuale dalla quale dobbiamo dedurre ciò che non vediamo».

Don Rocco ha ben evidenziato questo concetto sostenendo che la fede non può basarsi solo sull’emozione del momento ma deve essere sostenuta dalla preghiera, la sola e vera arma che può frapporsi agli ostacoli di ogni tentazione e che ci può supportare e sostenere in ogni nostra difficoltà. Nello stesso tempo la fede non può prescindere dalla ragione e, infatti, fides et ratio sono binomio inscindibile. La superstizione, invece, abbraccia l’irrazionale e si fonda sul sentimento che spesso da una percezione distorta per cui è importante comprendere che crescere nella fede equivale ad intraprendere un cammino pieno di ostacoli ma che poggia su pilastri fondanti che sono la preghiera e la partecipazione eucaristica ed è illuminato da un faro che è la Chiesa nella sua dimensione comunitaria.

Un sentito ringraziamento, dunque, a Don Rocco Moscarelli che ci ha trasmesso con semplicità di cuore il suo essere e il suo fare, alla responsabile adulti Francesca Conte che con scrupolo e dedizione prepara ogni incontro, a Don Antonio Laurita che accoglie con gioia e a tutti i numerosi tesserati e simpatizzanti che hanno sfidato freddo e neve e non sono mancati.

Angela Guma

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                       Partecipa a "Crea La Maschera" per il Carnevale Storico di Pignola!

L'associazione Young Minds - Events&Co. e la Compagnia Teatrale "Il Sipario" sono felici di invitarti a un'entusiasmante iniziativa in occasione del Carnevale Storico di Pignola! Quest'anno, avrai la possibilità di creare e indossare due maschere iconiche della tradizione: "Z Gërardë Fottë" e la Regina "Giovanna La Pazza".

Cosa ti aspetta? Le maschere saranno realizzate utilizzando materiali di riciclo, in linea con i principi dell'Agenda 2030 per la sostenibilità. Un'opportunità perfetta per divertirsi e, allo stesso tempo, contribuire al rispetto dell'ambiente!

Iscrizioni: Puoi iscrivere la tua partecipazione presso l'ufficio turistico Pignola Turistica, dal lunedì al giovedì, dalle 16:00 alle 19:00, entro e non oltre giovedì 16 gennaio 2025.

Non perdere questa occasione unica per essere protagonista del Carnevale Storico di Pignola!

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